Auditoire de Calvin

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Auditoire de Calvin nuovo organo - foto Natale GIANDOMENICO

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lunedì 24 agosto 2015

La Sinodo Valdese 2015: testo della predicazione del Culto di apertura

 
Erika Tomassone, pastora della chiesa di Rorà, ha predicato sul passo biblico tratto dal Vangelo di Luca 11,29-32 nel corso del culto di apertura della sessione europea del sinodo delle chiese valdesi e metodiste.


Testo della predicazione di Erika Tomassone, pastora della Chiesa valdese di Rorà (TO)

«Mentre la gente si affollava intorno a lui, egli cominciò a dire: "Questa generazione è una generazione malvagia; chiede un segno ma nessun segno le sarà dato, tranne il segno di Giona. Infatti come Giona fu un segno per i Niniviti, così anche il Figlio dell'uomo lo sarà per questa generazione. Nel giorno del giudizio la regina del mezzogiorno si alzerà con gli uomini di questa generazione e li condannerà; perché ella venne dagli estremi confini della terra per udire la sapienza di Salomone; ed ecco qui c'è più di Salomone. Nel giorno del giudizio i Niniviti si alzeranno con questa generazione e la condanneranno; perché essi si ravvidero alla predicazione di Giona; ed ecco qui c'è più di Giona."»       


“Abbiamo bisogno di un grande risveglio”, mi dice una donna anziana. “Abbiamo bisogno di ripartire che qui non succede niente, è calma piatta”.
Ripartire come chiesa nel viaggio su cui ci incammina la vocazione che ci è stata rivolta, si intende.
Non a tutti piace viaggiare nella vita quotidiana, non tutti sono curiosi, non tutti amano incontrare persone di altre culture, avere a che fare con altre usanze, e poi quegli strani cibi, e le malattie ne possiamo anche fare a meno; non tutti hanno i mezzi per fare del turismo nelle vacanze; non tutti i nostri viaggi sono vacanze, sono spostamenti dai molti nomi: emigrazioni, esodi, esili, fughe.
Siamo molto spesso tra coloro che resistono di fronte ad un viaggio: meglio ognuno a casa sua.

Quando però parliamo della nostra vocazione, il viaggiare si impone.
Se non ti sposti, se non vivi uno spaesamento umano davanti a Dio, c’è qualcosa che non va.
Nello stare fermi c’è il rischio di costruire una casa più o meno bella, una struttura di pensiero, parole e azioni più o meno stanca, dove ogni cosa ha la sua spiegazione, il suo perché, dove anche le domande alla fine sono quelle dall’interno della casa, dove le esaltazioni si alternano alle delusioni perché dipendono dai punti di vista che umanamente abbiamo dall’interno della casa.
Finisce che invece di abbandonarti con fiducia all’incontro con quel Dio che si è spaesato per venire fino a te e portarti liberazione e che ti vuol far camminare, ti arrocchi e ti difendi.
Ti trinceri nel tuo paese etico, teologico e spirituale.

Gli interlocutori di Gesù nel nostro testo avevano proprio come noi, un paese, una patria di fede fatta come la nostra di affermazioni e di domande, sforzo nel comprendere la parola di Dio per loro, una pratica di vita e di culto che si cercava coerente con la confessione della fede.
Ed ecco Gesù, un imprevisto così come si presenta, un estraneo e coerentemente applicano i loro convincimenti. Per affidarsi a lui, per credere, chiedono un segno da Dio stesso. Apprezziamoli! Non pretendono di giudicare loro stessi! Chiedono a Dio un segno.
Che male c’è a chiedere un segno da parte di Dio, il nostro Dio secondo le Scritture, non è forse un Dio che ci raggiunge offrendoci dei segni? Un arcobaleno, un cielo stellato, le tavole della legge, una donna con un po’ di farina, un’ombra di morte che arretra, un ramo di mandorlo?

Eppure Gesù è categorico: per questa generazione incapace di spaesamento, trincerata nel suo paese con i suoi convincimenti, è offerto un solo segno: l’estraneità, un incontro con l’estraneità.
Gesù evoca due viaggi, due spaesamenti:

quello della regina del mezzogiorno verso la corte del re Salomone. Colei che volle incontrare di persona il re di uno staterello neppure confinante con il suo regno, per averne sentito parlare. Uno spaesamento senza secondi fini, se non vedere di persona la sapienza del re e non ne restò delusa.
quello del profeta Giona a Ninive, il segno determinante per questa generazione sulla difensiva. Arroccato nel convincimento di rischiare inutilmente la vita andando a Ninive, tanto famosa per la sua potenza, organizzazione, la metropoli nemica con il suo sistema religioso così estraneo, Giona prova ad evitare il viaggio, a mettersi al riparo.
Alla fine, accettando per forza uno spaesamento estremo arriva a Ninive e non incontra sorprendentemente la morte, ma l’ascolto della parola di Dio da parte di quegli estranei; uno spaesamento dei Niniviti che inizia dalla periferia e solo in un secondo tempo diventa decreto stringente del re. Giona non incontrerà il giudizio di Dio, tanto atteso dal punto di vista della sua conoscenza di Dio in armonia con la sua opinione sui Niniviti. Incontra la misericordia di Dio per gli estranei, incontrando lui stesso un Dio estraneo che continua a spaesarlo e a sorpenderlo che offre a tutti la manifestazione della sua grazia.

Il segno che Dio ha dato ai Niniviti con Giona, quello dell’estraneità che ti incontra, ti spaesa, ti cambia la vita è lo stesso segno che è dato alla generazione contemporanea di Gesù e ad ogni altra generazione, anche alla nostra. All’arroccamento, alla difensiva, all’eccessiva sicurezza di essere discendenza, della famiglia di Dio e non degli estranei rispetto a Dio, Gesù risponde con il segno dell’estraneità.
Luca disegna nel Cristo, l’immagine di Giona che invita alla conversione come accettazione di un incontro con Dio, il diverso da sé e come occasione per la propria vita. Giona è lo straniero fra i Niniviti, Gesù è lo straniero fra noi.

Ora noi umani, siamo purtroppo naturalmente xenofobi, cioè ostili, avversi, nemici di ciò che ci è estraneo. I muri, i conflitti, i pregiudizi, le guerre sono lì a ricordarcelo ogni giorno. Siamo xenofobi anche nei riguardi di Dio che cerchiamo di comprendere, trattenere nel nostro sistema di convincimento o confusione umana. Solo a riflessione, una reminiscenza dell’amore del prossimo e tanta fatica a volte ci permettono di andare incontro all’estraneità umana e divina e provare ad entrare in dialogo.

Ma il segno che è offerto alla nostra vita è proprio l’appello ad accogliere a nuovo ciò che non è previsto, che non è coerente, omogeneo, riducibile alle nostre categorie di pensiero anche teologico. A cominciare da Dio.
L’estraneità misericordiosa di Dio è quella che ti viene offerta e che ci invita ad abbandonarci nel viaggio della fiducia. A chi è già spaesato è offerto il segno, chi vive la crisi dello spaesamento è accompagnato dal segno:
perché tu ricominci a vivere da sopravvissuto alla catastrofe come Noé
perché tu viva della promessa contro ogni evidenza realistica come Abramo
perché tu cammini libero in mezzo al pericolo e alla fatica del deserto come il popolo uscito dalla schiavitù d’Egitto
perché tu come Elia condividendo il poco degli ultimi, sia per loro fonte di vita
perché nella inevitabile mortalità umana tu sappia dare un senso al tempo che hai a disposizione come il re Ezechia
perché come Geremia, nel mezzo della distruzione del presente, tu annunci che c’è ancora un futuro.
Se ancora oggi accettiamo di essere spaesati da Dio, mollando i nostri arroccamenti e le nostre difese, viaggiamo sotto il segno di Giona. Nell’accoglienza dell’estraneità di Dio, noi gli estranei a lui per eccellenza, da lui cercati e amati incontriamo la grazia stupefacente e liberatoria con cui possiamo camminare in piena fiducia in mezzo alle sfide umane di ogni tempo.

In questo tempo di rinnovati muri mentali e materiali con cui ci difendiamo dagli altri e le altre, di reticolati e macerie, fronti contrapposti, ci conceda Dio una vita di liberi viaggiatori, libere viaggiatrici; ci tenga lontano da una vita immobile ed arroccata, ci insegni a confessare la nostra incredulità per ripartire, ci dia di riconsiderare la sua grazia che ama persone senza qualità, così diversi da Lui, come figlie e figlie.
La regina del mezzogiorno e i Niniviti i nostri precursori e per noi di più che l’incontro con il profeta Giona o con il re Salomone.

Non so se questo lo chiameremo un grande risveglio sarà una ripartenza come quella donna anziana vorrebbe per la chiesa di cui è parte, guardando anche oltre la sua generazione. Amen

23 agosto 2015

tratto da: www.chiesavaldese.org