Auditoire de Calvin

Auditoire de Calvin
Auditoire de Calvin nuovo organo - foto Natale GIANDOMENICO

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sabato 26 dicembre 2015

Domenica 3 gennaio 2016 - Culto Evangelico a Ginevra Valdese

Chiesa Evangelica Valdese di Ginevra
Luogo di Culto: Auditoire de Calvin
Place de la Taconnerie, 1. - Ginevra.

Culto Evangelico
Domenica 3 gennaio 2016 - 2a DOPO NATALE
ore17:00
predicazione a cura della Comunità 


E la Parola è diventata carne e ha abitato per un tempo fra di noi, piena di grazia e di verità; 
e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre.
Evangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 1,14.

lunedì 21 dicembre 2015

Natale: la promessa di Dio scalda i nostri cuori nel freddo della vita


Natale come promessa di Dio ai nostri cuori


di Sabina Baral

Ci apprestiamo a vivere e festeggiare un altro Natale, una celebrazione che in occidente coinvolge in qualche modo tutti. Oggi non si può dire che l'intera società sia cristiana ma il Natale continua a rivelare una grande forza evocatrice. Anche le chiese valdesi e metodiste si preparano a celebrare l'evento. Con il pastore Eric Noffke, professore designato di Nuovo Testamento alla Facoltà valdese di teologia di Roma, ci siamo interrogati sul senso più profondo che il Natale reca con sé.
Qual è il significato autentico del Natale? In fondo è la meno cristiana delle ricorrenze, connotata da una matrice pagana di gran lunga precedente la nascita di Gesù...

In effetti è vero che il Natale ha occupato la data di una festa pagana ma questo, in fondo, è il modo in cui il cristianesimo si è sviluppato, cioè dando un significato nuovo a feste e pratiche precedenti. Com'è avvenuto con le celebrazioni ebraiche di Pasqua e di Pentecoste, così è stato anche per il Natale.
C'è, però, una significativa differenza da notare: mentre con le due feste ebraiche il cristianesimo si pone in profonda continuità con la sua matrice giudaica (molti dei significati che troviamo nell'Antico Testamento sono riassunti nell'opera di Gesù), per il Natale si tratta di una scelta di profonda rottura, di contrapposizione rispetto al passato pagano.
Quello che a me piace del festeggiare la nascita di Gesù proprio nei giorni più bui dell'anno e all'inizio dell'inverno, è che questo ci permette di evidenziare che Dio si incarna proprio nel buio della condizione umana, quando la capacità di amare langue come la vita d'inverno. In questo modo risalta il senso dell'incarnazione, perché è proprio il peccato umano a renderla necessaria. Natale, così, rappresenta la promessa della presenza di Dio, reale e piena, che scalda i nostri cuori nel freddo della vita.
Perché bisogna pensare un Dio che si faccia uomo, attraverso Gesù? Non c'è il rischio che un Dio alla nostra portata sia un Dio di cui tutti possono impossessarsi?

Al contrario! Affermare che il Dio trascendente si fa pienamente e veramente uomo in Gesù significa impedirci di lasciarlo in cielo e, così, renderlo lontano, imperscrutabile, quasi una divinità indifferente alla nostra vita, se non ci fosse un sacerdozio che interviene a farlo scendere qualche volta tra noi. Il Dio d'Israele, invece, si fa uomo in Gesù, mettendo in crisi tutte le nostre rappresentazioni, a cominciare dai "vitelli d'oro" che accompagnano tutta la nostra storia.
Il Dio incarnato è una presenza anche scomoda perché non ideale, impalpabile: ha assunto un volto preciso, ha detto cose molto chiare, ha fatto una fine infame... Se è vero, poi, che la storia si può scrivere da molti punti di vista, è proprio il principio del Sola Scriptura ad impedirci di rappresentare un Gesù a nostra immagine e somiglianza.
La provocazione divina dell'incarnazione non finisce qui, perché anche le sacre pagine che ce ne parlano sono a loro volta "incarnazione" della sua testimonianza: pagine scritte da uomini, ma ispirati. In esse non possiamo più distinguere l'umano e il divino, come non possiamo farlo con Gesù. Non c'è un messaggio sublime da raffinare o purificare dalle sue incrostazioni umane: se tolgo l'uno perdo anche l'altro. Per questo la Scrittura rimarrà lì a provocare la Chiesa, senza che la Chiesa possa mai impossessarsene. In Gesù Dio ci incontra nella maniera in cui Lui ha deciso di venire, cioè nella storia umana, con le sue luci e le sue ombre, e non ci resta che riconoscere in questo uomo il Cristo, il Salvatore.

Oggi il Natale è accusato di essere diventato un evento consumistico privo di spiritualità. Come si può evitare questa deriva che ferisce spesso le persone più sole e povere?

Richard Horsley, un noto studioso del Nuovo Testamento, descrive il Natale contemporaneo come la festa principale della religione imperiale che impregna la nostra società, la piena esaltazione e celebrazione dei poteri terreni, a cominciare dal denaro. Concordo con lui, e proprio per questo credo che noi cristiani non dobbiamo lasciare che il Natale ci venga sottratto da "questo mondo".
La nostra sfida oggi è quella di smascherare gli inganni dell'anticristo (cioè di quei poteri che imitano l'immagine, il linguaggio, la vita di Cristo per ingannare i fedeli e portarli ad adorare gli dei di questo mondo) e del suo "anti-natale" consumistico, celebrando con semplicità e convinzione la nascita di Gesù. Speriamo che nei nostri canti e nella nostra sobrietà il mondo possa scorgere il vero contenuto del Natale, che riassume l'amore di Dio per noi. Qui a Roma molte chiese sono impegnate proprio a fare in modo che questa sia una festa della solidarietà e non dello sfarzo che schiaccia il povero nella sua miseria.





domenica 13 dicembre 2015

Domenica 20 dicembre 2015 - Culto Evangelico a Ginevra Valdese

Chiesa Evangelica Valdese di Ginevra
Luogo di Culto: Auditoire de Calvin
Place de la Taconnerie, 1. - Ginevra.

Culto Evangelico
Domenica 20 dicembre 2015 - 4a nell'AVVENTO
ore 16.50
Testo biblico per il Sermone:
Evangelo di Gesù Cristo secondo Luca 1,39-45;
predicazione a cura del pastore valdese Maurizio Abbà
con la partecipazione della Chiesa Evangelica Coreana


E la Parola è diventata carne e ha abitato per un tempo fra di noi, 
piena di grazia e di verità;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria
Evangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 1,14a

giovedì 10 dicembre 2015

mercoledì 9 dicembre 2015

Un possibile contributo alla primavera ecumenica





Una Fcei più efficiente e sinergica

 Intervista di Federica Tourn al pastore battista Luca Maria Negro

Intervista a Luca Maria Negro, 
eletto nuovo presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia

Al termine della diciassettesima assemblea della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei), che si è conclusa oggi a Pomezia, è stato eletto anche il nuovo presidente, il pastore battista Luca Maria Negro. Nato a Torino nel 1953, ha svolto il suo ministero pastorale ad Albano Laziale (Roma), Ginevra (Svizzera) e Torino. Tra i suoi incarichi passati, ricordiamo che ha lavorato a Roma come redattore di Com Nuovi Tempi dal 1983 al 1989, è stato direttore del mensile interreligioso Confronti dal 1989 al 1992 e direttore dell’agenzia stampa Nev – Notizie Evangeliche della Fcei dal 1992 al 2001. 
A Ginevra è stato segretario per le comunicazioni della Conferenza delle chiese europee (Kek) dal 2001 al 2009 e a Torino direttore di Riforma – L’Eco delle Valli Valdesi dal 2010 a oggi. Dal 1995 al 2001, inoltre, è stato segretario esecutivo della Fcei. 
Con lui parliamo della valutazione dei lavori appena conclusi e delle prospettive future della Federazione.

Che impressioni hai avuto dall’assemblea appena conclusa?

«Senz’altro positive, ho lavorato in Fcei per molti anni, dal 1992 al 2001; mancavo da diverso tempo anche se non ho mai reciso i legami e ho trovato una Federazione che sembra si stia rinnovando a vari livelli. C’è un desiderio di avere una maggiore sinergia tra le chiese che aderiscono alla Fcei ma anche tra i vari servizi e le commissioni, che in passato rischiavano di essere un po’ a compartimenti stagni. Noto anche una grande volontà di snellire la struttura per renderla più efficiente e sempre più incisiva e attuale la nostra testimonianza nella società. Penso agli interventi sull’accoglienza dei rifugiati, con il progetto “Mediterranean Hope”, che include un osservatorio a Lampedusa, la Casa delle culture di Scicli e adesso il progetto innovativo ed ecumenico dei corridoi umanitari che, dopo una gestazione difficile, dovrebbe partire fra pochi giorni con la firma di una convenzione con i ministeri competenti. Penso anche all’impegno sul tema della libertà religiosa: in assemblea abbiamo sentito la testimonianza del gruppo di giuristi che lavora per una legge che superi quella ancora in vigore sui culti ammessi, o altre novità come la collaborazione con “Biblia” per uno studio laico della Bibbia nelle scuole italiane. Non dimentichiamo il lavoro della Commissione Globalizzazione e ambiente con la Carovana per il lavoro, che si muove per sensibilizzare le nostre comunità sulla crisi del lavoro ma anche sull’ecologia, o il gruppo sulle carceri che collabora con l’associazione internazionale dei cappellani delle carceri, insieme al quale organizzerà un convegno a inizio 2016. Tutti segni di grande vitalità che mi rendono felice di tornare a lavorare in Fcei in questo momento di effervescenza».

Che cosa ti auguri per il prossimo futuro?

«Spero che la Fcei possa dare un contributo alla primavera ecumenica che si sta profilando con le aperture del pontificato di papa Francesco, una disponibilità già vista lo scorso marzo con l’appello congiunto delle chiese cristiane contro la violenza sulle donne. La stessa proposta di creare canali umanitari è un passo sul cammino ecumenico, perché è realizzata insieme alla comunità di Sant’Egidio. Naturalmente l’ecumenismo deve essere a 360 gradi, quindi non si esaurisce con la Chiesa cattolica. Credo che per le chiese del protestantesimo storico, che sono una minoranza nel mondo evangelico italiano, sia importante rilanciare il dialogo con il mondo evangelico non federato, con cui sicuramente su molti aspetti teologici e di impegno nella società ci possono essere diversità di vedute; ma dobbiamo anche capire che in quest’area ci sono diverse sensibilità ed è importante quindi coltivare il dialogo e la collaborazione dove è possibile. Mi rallegro quindi che nel nuovo statuto si sia mantenuta la possibilità di avere chiese e o unioni di chiese nel ruolo di osservatori, come gli avventisti e la Federazione delle chiese pentecostali, perché si tratta di una presenza preziosa per la Fcei».

A proposito di prospettive ecumeniche, hai accennato in Assemblea alla possibilità che si costituisca anche in Italia un Consiglio nazionale delle chiese cristiane.

«Si ricomincia a parlarne. In molti paesi europei esistono Consigli nazionali di chiese, a cui anche la Chiesa cattolica partecipa a pieno titolo. Abbiamo in Italia Consigli regionali o locali di chiese cristiane, come a Milano, ma non so se i tempi siano maturi per arrivare anche in Italia a un tavolo permanente di collaborazione delle diverse confessioni: il fatto che si cominci a parlarne però è positivo».

La Fcei non ha registrato nuove adesioni di chiese negli ultimi anni. Immagini della strategie per allargare la base?

«Non ci sono state nuove adesioni, è vero, e una chiesa è uscita dalla Federazione. Credo però che il punto non sia tanto quello di trovare nuove chiese che aderiscono alla Fcei, quanto ampliare la collaborazione attraverso gli attuali membri osservatori ma anche rilanciando il lavoro della Ccers, la Commissione delle chiese evangeliche per i rapporti con lo Stato. Sottolineo l’importanza della sinergia: dobbiamo superare la tendenza a lavorare a compartimenti stagni per cercare di essere presenti e rispondere con flessibilità alle sfide che ci pone il mondo di oggi. La Fcei non è una ong, che si limita a fare interventi di tipo umanitario: al cuore del lavoro della Federazione deve esserci sia questo impegno delle chiese nella società ma al tempo stesso la testimonianza dell’Evangelo, che si esplica con alcune delle nostre attività, come l’istruzione cristiana con la scuola domenicale, il Culto evangelico su Rai 1 e la trasmissione Protestantesimo. Come ricordava il mio predecessore, il pastore Massimo Aquilante, la Federazione non è soltanto luogo di servizi ma anche di tensione verso l’unità. Il movimento ecumenico ha tante anime ma le due fondamentali sono quella teologica, che lavora per l’unità delle chiese, e quella del “cristianesimo pratico”: la vitalità di un organismo ecumenico dipende dalla capacità di combinare in modo equilibrato queste due componenti. Uno dei compiti dei prossimi anni sarà di vigilare che questi due ambiti siano ben presenti».

Proprio in questa prospettiva, il peso – in termini di bilancio e di organizzazione – di un progetto come quello di Mediterranean Hope non rischia di sbilanciare la Federazione?

«Non è la prima volta che la Federazione si trova in una situazione di questo genere: già in occasione del terremoto dell’Irpinia dell’80, il nostro impegno nelle zone colpite superava largamente il bilancio e le forze di quello che al tempo faceva la Fcei. Credo che la Federazione abbia una tradizione di flessibilità che le consente anche di affrontare delle emergenze senza perdere la sua identità e ho fiducia che questo accada anche questa volta con un progetto di queste dimensioni».

Si è detto che l’associazione «31 ottobre» forse chiuderà: che segnale è in un momento così cruciale per la laicità nella scuola?

«La notizia della possibile chiusura di questa associazione, anche se non è direttamente parte della Fcei, non è un bel segnale. Auspico che la Federazione almeno in parte possa farsi carico di questa esigenza».

L’assemblea ha approvato la modifica dello statuto della Federazione. Che cosa cambia?

«Prima c’erano un’Assemblea con oltre cento delegati con diritto di voto, che però si riuniva ogni tre anni, e un organismo intermedio, il Comitato generale. Con il nuovo statuto, quello che era il Comitato generale diventa l’Assemblea, i cui membri sono nominati dagli esecutivi e che si riunisce due volte anno. Sostanzialmente ora gli esecutivi hanno un peso maggiore: se è vero, come hanno obiettato alcuni, che esiste il rischio che questa presenza diventi troppo invadente, il nuovo assetto però evita che una chiesa si disimpegni. Un’assemblea più piccola – 25 membri con diritto di voto – avrà la possibilità di seguire più da vicino i lavori del Consiglio, cioè dell’esecutivo, e inoltre è stata mantenuta un’assemblea triennale, ora chiamata Assise generale, il cui regolamento è stato approvato ma non è parte integrante dello statuto. Qualcuno ha espresso la preoccupazione che la Fcei in questo modo si burocratizzi, ma sta al consiglio lavorare affinché la prossima Assise generale sia un brainstorming collettivo delle nostre chiese: a me piacerebbe che fosse davvero multicolore, un’opportunità di condivisione in cui si possa vedere la presenza di altre chiese e di fratelli e sorelle che vivono nelle nostre comunità e vengono da altri continenti. A questo proposito ricordo che un altro dei programmi della Fcei è “Essere chiesa insieme”, in cui si sperimenta con gli immigrati un’integrazione reciproca. Mi auguro e credo che il Consiglio lavorerà perché questi momenti di confronto diventino un’occasione per stimoli nuovi per la Federazione e di testimonianza dell’evangelismo nel nostro paese».

Foto Pietro Romeo

tratto da: www.riforma.it

lunedì 23 novembre 2015

Domenica 6 dicembre 2015 - Culto a Ginevra Valdese

Chiesa Evangelica Valdese di Ginevra
Luogo di Culto: Auditoire de Calvin
Place de la Taconnerie, 1. - Ginevra.

Culto Evangelico
Domenica 6 dicembre 2015 - 2a nell'AVVENTO
ore 17.00
predicazione a cura della Comunità

lunedì 9 novembre 2015

Domenica 15 novembre 2015 Culto Evangelico a Ginevra Valdese

Chiesa Evangelica Valdese di Ginevra
Luogo di Culto: Auditoire de Calvin
Place de la Taconnerie, 1.

Culto Evangelico
Domenica 15 novembre 2015 - 25a DOPO PENTECOSTE
ore 17.00
Testo della predicazione: 1 Samuele 2,1-10;
predicazione a cura del pastore valdese Maurizio Abbà






Il SIGNORE è il mio pastore: nulla mi manca.
Salmi 23,1

mercoledì 4 novembre 2015

La Riforma a Ginevra negli anni di Calvino

 Calvino, fondatore di civiltà
Un nuovo tipo di essere umano, "il riformato"
Come vivere nel mondo in conformità alla propria fede


Nella Ginevra del XVI secolo, che in breve tempo raddoppia la propria popolazione per l'afflusso continuo di profughi protestanti provenienti da Francia, Inghilterra e Italia, il Riformatore Giovanni Calvino mira a separare la chiesa dal potere civile e a darle un proprio ordinamento interno, la cosiddetta "disciplina ecclesiastica", fondata sulla Parola di Dio.
Se nella Germania di Lutero la chiesa è subordinata al potere secolare dei principi elettori, nella Ginevra di Calvino, che poco a poco si trasforma in centro delle chiese riformate d'Europa, essa viene via via emancipandosi dall'autorità politica cittadina.
Per la sua comunità religiosa, Calvino elabora la cosiddetta "disciplina ecclesiastica" - sorta di costituzione della chiesa, insieme di leggi e regolamenti che ne formano l'ordinamento interno - a partire da precisi fondamenti teologici.
Al centro, la predicazione, i sacramenti e la cosiddetta "cura d'anime", che si estende alla formazione, inizio della salvezza, per cui furono fondati il Collège e l'Académie.
Non a torto, lo storico Emile Léonard vede in Calvino il "fondatore di una civiltà", quella moderna.


Il libro
Thomas Soggin
La Riforma a Ginevra negli anni di Calvino
Un capovolgimento nella vita della città

pp. 110
Piccola collana moderna 155
f.to cm 12 x 20
Editrice Claudiana


tratto da: www.claudiana.it



L'autore
Thomas Soggin,
laureato in Teologia alla Facoltà valdese di Roma, ha svolto il ministero pastorale a Como, S. Fedele Intelvi, Milano e Bergamo.
Per Claudiana ha pubblicato, insieme a Maria G. Girardet, Racconta la Bibbia ai tuoi ragazzi.

giovedì 29 ottobre 2015

Sorella Musica

- Per ingrandire il testo cliccare sull'immagine

martedì 27 ottobre 2015

1 novembre 2015 - Culto Evangelico a Ginevra Valdese

Chiesa Evangelica Valdese di Ginevra
Luogo di Culto: Auditoire de Calvin
Place de la Taconnerie, 1.

Culto Evangelico
Domenica 1 novembre 2015 - 23a DOPO PENTECOSTE
ore 17.00
Testo della predicazione: Evangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 5,1-12a.
predicazione a cura del pastore valdese Maurizio Abbà


Il Signore ti guiderà sempre, ti sazierà nei luoghi aridi, darà vigore alle tue ossa;
tu sarai come un giardino ben annaffiato,
come una sorgente la cui acqua non manca mai.
Isaia 58,11

lunedì 12 ottobre 2015

Domenica 18 ottobre - Culto Evangelico a Ginevra Valdese

Chiesa Evangelica Valdese di Ginevra
Luogo di Culto: Auditoire de Calvin
Place de la Taconnerie, 1.

Culto Evangelico
Domenica 18 ottobre 2015 - 21a DOPO PENTECOSTE
ore 18.00
Testo della predicazione: Evangelo di Gesù Cristo secondo Marco 10,35-45.
predicazione a cura del pastore Maurizio Abbà

Quelli che guardano il Signore sono illuminati, nei loro volti non c'è delusione
Salmi 34,5

giovedì 1 ottobre 2015

Inaugurazione dell'Anno accademico 2015-2016 della Facoltà valdese di teologia di Roma

Inaugurazione dell’Anno accademico 2015/2016 della 
Facoltà valdese di teologia
  
Prolusione di Yann Redalié, professore di Nuovo Testamento, 
sul messaggio di Calvino

Sarà il professor Yann Redalié con una prolusione su: "Dio parla, e parla anche oggi. Una certezza di Calvino ricca di conseguenze", ad inaugurare il prossimo 3 ottobre l’Anno Accademico 2015/2016 della Facoltà valdese di teologia di Roma. “Questa prolusione – ricorda il professor Redalié – che, come quella dell’anno scorso, si iscrive nella preparazione della ricorrenza del 2017 - gli inizi della Riforma -, riflette su come Giovanni Calvino si sia sforzato per tutta la vita per far sì che tutti possano udire ‘le grandi cose di Dio nella propria lingua natia’. Calvino, infatti, produce la sua opera letteraria in latino e in francese sin dall'inizio della sua attività pubblica di Riformatore e fino alla fine. Nella cultura del suo tempo, teologia, religione e morale appartengono alla lingua latina, alla sfera intellettuale. Calvino – prosegue Redalié – trasferirà i codici, gli schemi retorici e stilistici della lingua latina umanistica nel linguaggio più adatto al pubblico nuovo delle comunità e, dunque, alla lingua volgare, al francese. Dal latino della globalizzazione internazionale e intellettuale del tempo al francese del pubblico dei sermoni, della formazione biblica, delle comunità, che crescono in conoscenza biblica e teologica, Calvino non smette di tradurre se stesso”.

Il culto d’apertura, previsto per domenica 4 ottobre alle 10,45, curato dalla pastora valdese Letizia Tomassone, si terrà presso il tempio valdese di piazza Cavour. La Facoltà valdese conta una ventina di studenti iscritti al corso di laurea in teologia, uomini e donne quasi in numero uguale, e circa 200 iscritti per il corso di laurea triennale a distanza in Scienze biblico-teologiche. Il corso di dottorato in teologia conta invece 5 iscritti ai due indirizzi storico e sistematico-ecumenico. Completano il quadro degli iscritti i 9 studenti del "Centro Melantone", centro ecumenico di studi che la Facoltà valdese ha attivato nel 2001 in collaborazione con la Chiesa evangelica luterana in Italia (Celi).

Il primo corso pubblico su “Che cosa ci dice l’Antico Testamento? Introduzione alla sua lettura”, curato dal professore di Antico Testamento, Daniele Garrone, si terrà tutti i martedì dalle 18 alle 19,30 al costo di 80 euro a partire dal 13 ottobre 2015 sino al 3 febbraio 2016.
Per informazioni: segreteria@facoltavaldese.org.
Oppure visitate il sito www.facoltavaldese.org


tratto da: 

Nev - Notizie evangeliche
01 ottobre 2015 

lunedì 28 settembre 2015

Domenica 4 ottobre 2015: Culto Evangelico a Ginevra Valdese

Chiesa Evangelica Valdese di Ginevra
Luogo di Culto: Auditoire de Calvin
Place de la Taconnerie, 1.

Culto Evangelico
Domenica 4 ottobre 2015 - 19a DOPO PENTECOSTE
ore 18.00
predicazione a cura della Comunità

giovedì 24 settembre 2015

Domenica 27 settembre 2015 - Culto Evangelico a Prangins

Raduno a Prangins (VD)Domenica 27 settembre 2015,
Culto con la Comunità di Prangins nel Tempio alle ore 10.30.
Segue Buffet nella sala del "Vieux Pressoir"

mercoledì 16 settembre 2015

Domenica 20 settembre 2015 - Culto Evangelico a Ginevra Valdese

Chiesa Evangelica Valdese di Ginevra
Luogo di Culto: Auditoire de Calvin
Place de la Taconnerie, 1.

Culto Evangelico
Domenica 20 settembre 2015 - 17a DOPO PENTECOSTE
ore 18.00

Testo biblico del Sermone:
Evangelo di Gesù Cristo secondo Marco 9,30-37
predicazione a cura del pastore Maurizio Abbà




mercoledì 2 settembre 2015

Ginevra Valdese - Culto Evangelico Domenica 6 settembre 2015

Chiesa Evangelica Valdese di Ginevra
Luogo di Culto: Auditoire de Calvin
Place de la Taconnerie, 1.

Culto Evangelico
Domenica 6 settembre 2015 - 15a DOPO PENTECOSTE
ore 18.00

Testo biblico del Sermone:
Evangelo di Gesù Cristo secondo Marco 7,24-37
predicazione a cura del pastore Maurizio Abbà

lunedì 24 agosto 2015

La Sinodo Valdese 2015: testo della predicazione del Culto di apertura

 
Erika Tomassone, pastora della chiesa di Rorà, ha predicato sul passo biblico tratto dal Vangelo di Luca 11,29-32 nel corso del culto di apertura della sessione europea del sinodo delle chiese valdesi e metodiste.


Testo della predicazione di Erika Tomassone, pastora della Chiesa valdese di Rorà (TO)

«Mentre la gente si affollava intorno a lui, egli cominciò a dire: "Questa generazione è una generazione malvagia; chiede un segno ma nessun segno le sarà dato, tranne il segno di Giona. Infatti come Giona fu un segno per i Niniviti, così anche il Figlio dell'uomo lo sarà per questa generazione. Nel giorno del giudizio la regina del mezzogiorno si alzerà con gli uomini di questa generazione e li condannerà; perché ella venne dagli estremi confini della terra per udire la sapienza di Salomone; ed ecco qui c'è più di Salomone. Nel giorno del giudizio i Niniviti si alzeranno con questa generazione e la condanneranno; perché essi si ravvidero alla predicazione di Giona; ed ecco qui c'è più di Giona."»       


“Abbiamo bisogno di un grande risveglio”, mi dice una donna anziana. “Abbiamo bisogno di ripartire che qui non succede niente, è calma piatta”.
Ripartire come chiesa nel viaggio su cui ci incammina la vocazione che ci è stata rivolta, si intende.
Non a tutti piace viaggiare nella vita quotidiana, non tutti sono curiosi, non tutti amano incontrare persone di altre culture, avere a che fare con altre usanze, e poi quegli strani cibi, e le malattie ne possiamo anche fare a meno; non tutti hanno i mezzi per fare del turismo nelle vacanze; non tutti i nostri viaggi sono vacanze, sono spostamenti dai molti nomi: emigrazioni, esodi, esili, fughe.
Siamo molto spesso tra coloro che resistono di fronte ad un viaggio: meglio ognuno a casa sua.

Quando però parliamo della nostra vocazione, il viaggiare si impone.
Se non ti sposti, se non vivi uno spaesamento umano davanti a Dio, c’è qualcosa che non va.
Nello stare fermi c’è il rischio di costruire una casa più o meno bella, una struttura di pensiero, parole e azioni più o meno stanca, dove ogni cosa ha la sua spiegazione, il suo perché, dove anche le domande alla fine sono quelle dall’interno della casa, dove le esaltazioni si alternano alle delusioni perché dipendono dai punti di vista che umanamente abbiamo dall’interno della casa.
Finisce che invece di abbandonarti con fiducia all’incontro con quel Dio che si è spaesato per venire fino a te e portarti liberazione e che ti vuol far camminare, ti arrocchi e ti difendi.
Ti trinceri nel tuo paese etico, teologico e spirituale.

Gli interlocutori di Gesù nel nostro testo avevano proprio come noi, un paese, una patria di fede fatta come la nostra di affermazioni e di domande, sforzo nel comprendere la parola di Dio per loro, una pratica di vita e di culto che si cercava coerente con la confessione della fede.
Ed ecco Gesù, un imprevisto così come si presenta, un estraneo e coerentemente applicano i loro convincimenti. Per affidarsi a lui, per credere, chiedono un segno da Dio stesso. Apprezziamoli! Non pretendono di giudicare loro stessi! Chiedono a Dio un segno.
Che male c’è a chiedere un segno da parte di Dio, il nostro Dio secondo le Scritture, non è forse un Dio che ci raggiunge offrendoci dei segni? Un arcobaleno, un cielo stellato, le tavole della legge, una donna con un po’ di farina, un’ombra di morte che arretra, un ramo di mandorlo?

Eppure Gesù è categorico: per questa generazione incapace di spaesamento, trincerata nel suo paese con i suoi convincimenti, è offerto un solo segno: l’estraneità, un incontro con l’estraneità.
Gesù evoca due viaggi, due spaesamenti:

quello della regina del mezzogiorno verso la corte del re Salomone. Colei che volle incontrare di persona il re di uno staterello neppure confinante con il suo regno, per averne sentito parlare. Uno spaesamento senza secondi fini, se non vedere di persona la sapienza del re e non ne restò delusa.
quello del profeta Giona a Ninive, il segno determinante per questa generazione sulla difensiva. Arroccato nel convincimento di rischiare inutilmente la vita andando a Ninive, tanto famosa per la sua potenza, organizzazione, la metropoli nemica con il suo sistema religioso così estraneo, Giona prova ad evitare il viaggio, a mettersi al riparo.
Alla fine, accettando per forza uno spaesamento estremo arriva a Ninive e non incontra sorprendentemente la morte, ma l’ascolto della parola di Dio da parte di quegli estranei; uno spaesamento dei Niniviti che inizia dalla periferia e solo in un secondo tempo diventa decreto stringente del re. Giona non incontrerà il giudizio di Dio, tanto atteso dal punto di vista della sua conoscenza di Dio in armonia con la sua opinione sui Niniviti. Incontra la misericordia di Dio per gli estranei, incontrando lui stesso un Dio estraneo che continua a spaesarlo e a sorpenderlo che offre a tutti la manifestazione della sua grazia.

Il segno che Dio ha dato ai Niniviti con Giona, quello dell’estraneità che ti incontra, ti spaesa, ti cambia la vita è lo stesso segno che è dato alla generazione contemporanea di Gesù e ad ogni altra generazione, anche alla nostra. All’arroccamento, alla difensiva, all’eccessiva sicurezza di essere discendenza, della famiglia di Dio e non degli estranei rispetto a Dio, Gesù risponde con il segno dell’estraneità.
Luca disegna nel Cristo, l’immagine di Giona che invita alla conversione come accettazione di un incontro con Dio, il diverso da sé e come occasione per la propria vita. Giona è lo straniero fra i Niniviti, Gesù è lo straniero fra noi.

Ora noi umani, siamo purtroppo naturalmente xenofobi, cioè ostili, avversi, nemici di ciò che ci è estraneo. I muri, i conflitti, i pregiudizi, le guerre sono lì a ricordarcelo ogni giorno. Siamo xenofobi anche nei riguardi di Dio che cerchiamo di comprendere, trattenere nel nostro sistema di convincimento o confusione umana. Solo a riflessione, una reminiscenza dell’amore del prossimo e tanta fatica a volte ci permettono di andare incontro all’estraneità umana e divina e provare ad entrare in dialogo.

Ma il segno che è offerto alla nostra vita è proprio l’appello ad accogliere a nuovo ciò che non è previsto, che non è coerente, omogeneo, riducibile alle nostre categorie di pensiero anche teologico. A cominciare da Dio.
L’estraneità misericordiosa di Dio è quella che ti viene offerta e che ci invita ad abbandonarci nel viaggio della fiducia. A chi è già spaesato è offerto il segno, chi vive la crisi dello spaesamento è accompagnato dal segno:
perché tu ricominci a vivere da sopravvissuto alla catastrofe come Noé
perché tu viva della promessa contro ogni evidenza realistica come Abramo
perché tu cammini libero in mezzo al pericolo e alla fatica del deserto come il popolo uscito dalla schiavitù d’Egitto
perché tu come Elia condividendo il poco degli ultimi, sia per loro fonte di vita
perché nella inevitabile mortalità umana tu sappia dare un senso al tempo che hai a disposizione come il re Ezechia
perché come Geremia, nel mezzo della distruzione del presente, tu annunci che c’è ancora un futuro.
Se ancora oggi accettiamo di essere spaesati da Dio, mollando i nostri arroccamenti e le nostre difese, viaggiamo sotto il segno di Giona. Nell’accoglienza dell’estraneità di Dio, noi gli estranei a lui per eccellenza, da lui cercati e amati incontriamo la grazia stupefacente e liberatoria con cui possiamo camminare in piena fiducia in mezzo alle sfide umane di ogni tempo.

In questo tempo di rinnovati muri mentali e materiali con cui ci difendiamo dagli altri e le altre, di reticolati e macerie, fronti contrapposti, ci conceda Dio una vita di liberi viaggiatori, libere viaggiatrici; ci tenga lontano da una vita immobile ed arroccata, ci insegni a confessare la nostra incredulità per ripartire, ci dia di riconsiderare la sua grazia che ama persone senza qualità, così diversi da Lui, come figlie e figlie.
La regina del mezzogiorno e i Niniviti i nostri precursori e per noi di più che l’incontro con il profeta Giona o con il re Salomone.

Non so se questo lo chiameremo un grande risveglio sarà una ripartenza come quella donna anziana vorrebbe per la chiesa di cui è parte, guardando anche oltre la sua generazione. Amen

23 agosto 2015

tratto da: www.chiesavaldese.org

martedì 14 luglio 2015

L'attualità di Jan Hus

Jan Hus, riformatore della Chiesa 
e riferimento culturale di una nazione
di Alberto Corsani



Si è svolta a Praga, il 5-6 luglio una celebrazione per ricordare il 600° anniversario della morte sul rogo di Jan Hus: la sua figura è stata presa a emblema di molte battaglie di libertà, e inoltre era la prima volta che si poteva celebrarla: chiediamo di raccontarci l’evento al pastore Jens Hansen, che vi ha partecipato per la Tavola valdese.
 

«Non avevo mai fatto caso che il 600° anniversario della morte di Hus fosse il primo a essere celebrato, ma non poteva essere altrimenti. Teoricamente si potevano celebrare già i 400 anni nel 1815, perché dopo le “Lettere patenti” di Giuseppe II d’Austria del 1781, la fase della persecuzione e dell’esilio era finita. Fu comunque chiaro, all’avvicinarsi del 1815 che, nonostante la tolleranza, le celebrazioni non erano permesse. Per il 1915 da tempo erano stati preparati grandi eventi, anche perché per il sentimento nazionalistico cecoslovacco Jan Hus era una figura centrale. Ma lo scoppio della Prima Guerra mondiale cancellò il “sogno” delle manifestazioni. L’unico ricordo possibile fu la costruzione del monumento a Jan Hus sulla piazza centrale della città vecchia. E con la liberazione della Cecoslovacchia dall’Austria dopo la Guerra, Jan Hus ben presto diventa un eroe nazionale.



Quelle della settimana scorsa sono state celebrazioni in grande stile: oltre 80 ospiti dalle chiese partner, celebrazioni parallele nella città di Costanza, luogo del Concilio e del rogo, e Praga con scambio di delegazioni; oltre 55 eventi, di cui 18 per gli ospiti internazionali, concentrati in due giorni fra culti, concerti, discussioni, podium, e – questo è molto significativo – celebrazioni divise fra quelle della Repubblica Ceca e quelle organizzate dalla Chiesa evangelica dei Fratelli Boemi in collaborazione con la Chiesa cecoslovacca hussita. Tutta Praga in festa e, da non dimenticare, la Banca nazionale Ceca che conia una moneta d’oro del valore di 10.000 corone (ca. 400 euro) per Jan Hus».

La figura di Hus è stata fatta propria, nel ricordo, anche dalla componente cattolica: qual è la sua interpretazione di questo fenomeno?
«Jan Hus è una figura centrale per la popolazione ceca e di conseguenza anche per la chiesa cattolica. È stato emblematico il sermone dialogico fra la pastora evangelica Romana Čunderlíková e il vescovo della chiesa vecchio cattolica, Dušan Hejbal che inizia proprio così:
“R.C.: Il maestro Jan Hus, un predicatore carismatico della Parola di Dio in lingua ceca, un discepolo fedele di Cristo, un Riformatore della chiesa che prepara la strada anche a Martin Lutero.

D.H.: Il santo Jan Hus, un prete cattolico, adoratore dell’eucaristia, veneratore della Madre di Dio, che ha scritto molti inni sulla Madonna. Non è sempre la stessa persona?”.
L’intervento del cardinale Vlk, già arcivescovo di Praga, presente ufficialmente per la Santa Sede, ha sottolineato l’importanza di Hus. Significative le parole della lettera di papa Francesco che il cardinale ha letto durante il culto di chiusura nella piazza proprio accanto il monumento di Hus e l’affermazione del cardinale stesso che il Concilio ha fatto un errore, condannando Hus. Ciò è in piena linea con gli sviluppi della chiesa cattolica nei confronti di Jan Hus. Già nel 1996 il cardinale Vlk aveva affermato che la condanna contro Hus doveva essere revocata. Una piena riabilitazione non sembra più impossibile. Il tutto fa vedere che Jan Hus ha un’importanza particolare per tutti i cechi».

Che riferimento è stato Jan Hus per i cristiani in Cecoslovacchia (allora Cecoslovacchia) nel periodo del regime comunista?

«Il legame c’è senza dubbio. Con la creazione della Cecoslovacchia nel primo dopoguerra nasce anche il desiderio di una chiesa nazionale indipendente che trova la sua realizzazione nella Chiesa cecoslovacca hussita. All’inizio è solo una chiesa cattolica che celebra la messa non più in latino, oggi è una chiesa pienamente evangelica, che già dal 1947 consacra le donne. Fa parte della Comunione delle Chiese evangeliche in Europa (Leuenberg). Durante il regime comunista proprio la Chiesa hussita diventa una sorta di foglia di fico per i comunisti, che praticano una politica fortemente contraria alle chiese. In seguito alla “primavera di Praga” del 1968, la Chiesa hussita può aprire una facoltà di Teologia a Praga. La Chiesa dei Fratelli boemi invece è molto critica verso il regime comunista ed è presente nei movimenti di opposizione. Il regime comunista prende Jan Hus come rivoluzionario ante litteram e lo integra nella sua ideologia usando il forte riferimento di Hus alla verità (pravda)».

Gran parte del programma di queste celebrazioni ha avuto carattere musicale, con concerti di genere molto vario: che cosa si può dire di questo aspetto?
«La gioia nazionale si è vista alla fine della serata conclusiva quando l’Orchestra sinfonica di Praga ha eseguito Blanik, del ciclo La mia patria di Bedrich Smetana (1824-1884, massimo compositore cèco, ndr). Per me invece, un momento molto denso è stata l’esecuzione dell’oratorio Johan Hus di Carl Loewe (1796-1869), un’opera poi dimenticata. Il 6 luglio è stata presentata la prima volta in assoluto a Praga. Il canto della verità, la cantata Per onorare il maestro Jan Hus di Jaroslav Krček, che riprende il “Credo” di Jan Hus, canti popolari a suon di cornamusa, mostrano la popolarità di Jan Hus anche nella musica».

La radicalità evangelica di Jan Hus e la sua visione di una chiesa che risponda solo alla Verità contenuta nella Scrittura, parlano ancora oggi ai nostri contemporanei?

«Dal punto di vista strettamente ecclesiastico potrei essere tentato di dire un chiaro no, visto che la Repubblica Ceca è il paese europeo più secolarizzato d’Europa – nemmeno il 25% della popolazione appartiene a una chiesa. Le mie esperienze a Praga, invece, mi hanno insegnato il contrario. Hus viene ammirato, la verità è una parola importante. Vorrei condividere qui alcune parole che ho scambiato dopo la presentazione dell’installazione architettonica sul muro della Cappella di Betlemme di Praga. Quando c’è il sole, l’installazione fa sì che la parola pravda (Wahrheit in tedesco) venga proiettata sul muro della Cappella. Un giovane studente cèco mi racconta: la verità per me è molto importante. Certo Jan Hus parlava della verità biblica, io non la conosco. Per me oggi verità significa autenticità, sincerità, un dire e un fare congrui ai propri principi. Questa verità alla fine ci unisce ed è la base di una società aperta e sana».

10 luglio 2015


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tratto da: www.chiesavaldese.org

mercoledì 8 luglio 2015

Elisabeth Parmentier nuova professoressa di teologia pratica di Ginevra

 di Claudio Geymonat
 tratto da: www.riforma.it in data mercoledì 8 luglio 2015

La cattedra creata dopo la decisione di chiudere la Facoltà di Neuchâtel

È la luterana francese Elisabeth Parmentier la nuova professoressa di Teologia pratica dell’Università teologica di Ginevra. Proviene dal prestigioso ateneo alsaziano di Strasburgo.

Si tratta in una cattedra creata ex novo a seguito della chiusura della Facoltà di Neuchâtel, prevista proprio per questa estate. A seguito infatti di un accordo di razionalizzazione firmato nel 2009 dalle Facoltà teologiche protestanti di Ginevra, Losanna e Neuchatel a quest’ultima spettava la responsabilità dell’insegnamento della Teologia pratica, passaggio obbligato per i futuri pastori. Con il nuovo accordo stipulato in questi giorni Ginevra e Losanna gestiranno entrambe cattedre di Teologia pratica, ed il loro sarà un agire coordinato.

Alla Parmentier quindi il compito di gestire l’insegnamento di una materia importante, 
ponte fra le pratiche attuali delle chiese e i punti di vista accademici e dottrinali.

 
Foto: Prof. Dr. Elisabeth Parmentier. di LWF/C.Kästner, da www.lutheranworld.org

luglio 1415: Jan Hus in memoria di un Riformatore

Karl Friedrich LESSING, Jan Hus durante il Concilio di Costanza, 1842

Il Consiglio ecumenico delle chiese rende omaggio a Jan Hus 
nel 600° anniversario della sua morte

L’Arcivescovo emerito Anders Wejryd, presidente del Consiglio ecumenico delle Chiese (Cec) per L’Europa, ha reso omaggio a Jan Hus, riformatore praghese, sacerdote e filosofo del XIV e XV secolo e una delle personalità più importanti della storia europea.

Nel suo messaggio durante le celebrazioni del 600° anniversario della morte di Hus, tenutesi il 5 e il 6 luglio a Praga, Wejryd ha detto che in «un'epoca di profonde divisioni nella Chiesa, la più evidente tra Roma e Avignone, ma anche di molteplici intrighi politici nella cristianità, Hus chiese ai suoi seguaci di proclamare una Chiesa unica come corpo mistico di Cristo composto dal popolo eletto di Dio».

Lodando la capacità di Hus di «discernere tra la sua fedeltà temporale al paese di nascita e la sua vocazione eterna al regno di Dio», Wejryd ha detto che per il riformatore lo Stato e la Chiesa erano due regni separati e una «confusione tra i due avrebbe portato i leader religiosi alla corruzione».

«Egli sapeva che la cittadinanza e l’amore per la patria sono qualità importanti in questa vita, ma ha insegnato che alla fine la fedeltà del cristiano va data alla Chiesa di Gesù Cristo», ha aggiunto Wejryd.

Nonostante fosse munito di un salvacondotto dell’imperatore per recarsi al Concilio di Costanza, Hus fu arrestato al suo arrivo e «diventò la vittima di un omicidio giudiziario» nel luglio 1415.

«Il Consiglio ecumenico delle chiese rende omaggio al sacrificio di Jan Hus e rinnova il suo impegno per il cammino di rinnovamento, di risveglio, di dialogo, di giustizia e di pace», ha concluso Wejryd.

Le commemorazioni per il 600° anniversario della morte di Hus sono un progetto della Chiesa evangelica dei Fratelli boemi e della Chiesa hussita cecoslovacca, due chiese membro del Cec.

Il Cec ospiterà una mostra sulla vita e sull’eredità di Jan Hus a partire dal 2 ottobre 2015, che si terrà presso il Centro ecumenico di Ginevra, in rete con altri eventi commemorativi per tutto il mese presso l'Università di Ginevra, la Cattedrale Saint-Pierre, l'Auditoire di Calvino, la chiesa della Maddalena e il Museo internazionale della Riforma.

(Fonte: Cec)

Copertina: "Hus (Lessing 1842)" di file: James Steakley; artwork: Carl Friedrich Lessing - http://www.projekte.kunstgeschichte.uni-muenchen.de/dt_frz_malerei/41-dt-franz-malerei/studieneinheiten/1830_1848_d/5a/gruppe_1/b.htm. 
Con licenza Pubblico dominio tramite Wikimedia Commons.

tratto da: www.riforma.it 
in data: mercoledì 8 luglio 2015



venerdì 3 luglio 2015

venerdì 26 giugno 2015

Incontro con papa Francesco I - Commiato e benedizione finale della diacona Alessandra Trotta


Commiato e benedizione finale della diacona Alessandra Trotta
presidente dell'Opera per le Chiese Evangeliche Metodiste in Italia
(O.P.C.E.M.I.)

Caro papa Francesco, cari fratelli e sorelle e cari amici ed amiche che avete voluto condividere oggi con la chiesa valdese di Torino la gioia di questo incontro, svoltosi nella semplicità e sincerità che è sempre da attendersi fra fratelli e sorelle in Cristo, è giunto il momento di salutarci. Non prima di avere ringraziato il Signore per questa preziosa occasione di condivisione fraterna, nella quale si è avvertita la freschezza del soffio dello Spirito ed il calore del sorriso di Dio che si posa sui suoi figli e figlie, tutte le volte che sanno fare passi concreti nel cammino di quell'amore vissuto che solo rende credibile la loro testimonianza evangelica in questo mondo sofferente e tormentato. Ricaviamo forza, fiducia, coraggio dalle benedizioni di Dio che ci giungono dall'incontro di oggi; come dagli incontri che lo hanno preceduto e reso possibile, in una crescita del movimento ecumenico che ha rappresentato e continua a rappresentare per tutte le Chiese cristiane un fondamentale cammino di conversione; e dagli incontri che lo seguiranno nella pratica quotidiana di rapporti di amicizia, di confronto e collaborazione, di sostegno ed incoraggiamento reciproco nei contesti locali, quelli più ravvicinati, che costituiscono la carne ed il sangue di un ecumenismo autentico. 

A papa Francesco rivolgiamo le parole finali di benedizione di un bell'inno che nelle nostre chiese spesso cantiamo alla fine di una riunione che ha unito fratelli e sorelle provenienti da luoghi diversi, a volte molto lontani, e che dunque si incontrano solo poche volte all'anno o in occasioni speciali: caro fratello, finché ci rivedrem, ti sostenga il Signore nel tuo cammin. Con papa Francesco, e con tutti i fratelli e le sorelle nel mondo che compongono il corpo di Cristo, siamo sostenuti, d'altra parte, dalla promessa di Dio annunciata dal profeta Isaia (40, 29-31): Il Signore dà forza allo stanco e accresce il vigore a colui che è spossato. I giovani si affaticano e si stancano; i più forti vacillano e cadono; ma quelli che sperano nel Signore acquistano nuove forze, si alzano a volo come aquile, corrono e non si stancano, camminano e non si affaticano. Cari fratelli e care sorelle, andiamo dunque con gioia, per portare la gioia che vince la tristezza del mondo; non la gioia effimera del possesso di ricchezze materiali; ma la gioia intima e profonda del sentirsi gratuitamente accolti dal Signore, così come siamo, in un vincolo d’amore che esige di essere partecipato e condiviso, spingendoci ad aprirci sempre all'accoglienza dell'altro e dell'altra, a cominciare da quelli che non ci aspettiamo, che ci scomodano. Andiamo con speranza, per portare speranza; la speranza alimentata dall'ascolto di una Parola di vita, che ci insegna ad osare, sempre, nelle occasioni private come in quelle pubbliche, le parole che rompono i silenzi delle solitudini, dell'emarginazione e della rassegnazione; che sfidano le chiusure degli egoismi, delle paure, dei risentimenti. 

Andiamo ed andiamo INSIEME, perché c'è molto da fare. Riceviamo per noi oggi la preghiera di benedizione dell'apostolo Paolo alla chiesa di Colosse (Col. 3, 15): La pace di Cristo, alla quale siete stati chiamati per essere un solo corpo, regni nei vostri cuori; e siate riconoscenti”. AMEN 

Che la strada venga incontro a te, e che il vento soffi dietro a te, possa il sole splender su di te, e la pioggia cadere su di te, finché ci rivedrem ti sostenga il Signore nel tuo cammin
(tradizione irlandese – testo italiano: L. M. Negro)


fonte: NEV - NOTIZIE EVANGELICHE
protestantesimo - ecumenismo - religioni
Servizio stampa della Federazione delle chiese evangeliche in Italia
Allegato al numero 26 del 24 giugno 2015
tratto dal DOSSIER
Visita di Papa Francesco alla Chiesa Valdese nel Tempio di Torino,
22 giugno 2015 


martedì 23 giugno 2015

L'opinione di Grado Giovanni Merlo




     Eugenio BERNARDINI, moderatore della Tavola Valdese                Jorge Mario BERGOGLIO papa Francesco I



di Alberto Corsani redattore del settimanale Riforma


Un incontro importante, di cui scopriremo in futuro tutti i frutti

L’opinione di Grado G. Merlo,
medievista e studioso del movimento valdese

«Per alcuni aspetti, questo incontro potrà essere valutato solo dopo che sarà passato un po’ di tempo, proprio per la sua importanza e le sue implicazioni anche all’interno dello stesso ambito cattolico: ma certamente la sua portata è notevole»: chi parla è Grado G. Merlo, professore di Storia medievale e Storia del cristianesimo medievale nelle Università di Torino e Milano e titolare di corsi alla Scuola Normale di Pisa. Uno dei più importanti medievisti italiani, è autore di articoli, saggi e libri dedicati ai valdesi, alcuni dei quali pubblicati dall’editrice Claudiana (da «Valdesi e valdismi medievali», 1984 a «Valdo. L’eretico di Lione», 2010).
Che cosa colpisce, dunque, in questo incontro fra i mondi di Valdo e di Francesco, uno studioso che valdese non è, ma che da molti anni è in dialogo (anche per la sua origine pinerolese) con la Chiesa e la cultura valdesi, come attesta anche la sua partecipazione a molti convegni di studio?
«L’incontro mi ha commosso – dice a caldo Merlo –: innanzitutto ho apprezzato il discorso del moderatore Bernardini che non è stato né “diplomatico” o di circostanza né aggressivo, ma ha messo sul tappeto quelli che restano tuttora come elementi di divisione. Certo sul piano sociale i cristiani operano con molta sintonia (il riferimento è soprattutto all’azione per profughi e migranti), ma la necessità di superare da parte cattolica la dizione “comunità ecclesiali” per le chiese protestanti è stata posta in tutta la sua evidenza. Quanto alle parole del papa, non può non colpire la richiesta di perdono per quanto la sua Chiesa fece ai valdesi nei secoli: non è stata una richiesta rituale, come era parsa invece quella di Giovanni Paolo II in occasione del Giubileo del 2000: e ovviamente, il fatto che sia stata pronunciata in un tempio valdese – e non in San Pietro – ha il suo peso».
L’altra questione problematica è quella dell’ospitalità eucaristica...
«È stato giusto sottolineare le problematicità; vorrei sottolineare tuttavia il riferimento espresso da Francesco ai doni che si sono scambiati cattolici e valdesi a Pinerolo in occasione della scorsa Pasqua, quando la chiesa cattolica locale ha offerto alla chiesa valdese il pane per la Santa Cena del culto pasquale e la chiesa valdese ha offerto alla cattolica il vino per la celebrazione della veglia pasquale la sera precedente: un gesto compiuto non dai vertici ecclesiastici ma dalla base di una chiesa locale. È importante e bello che un papa lo abbia menzionato».
Foto P.Romeo/Riforma
tratto da: www.riforma.it  lunedì 22 giugno 2015

lunedì 22 giugno 2015

Discorso di papa Francesco I in visita al tempio valdese di Torino

Discorso di papa Francesco I in visita al tempio valdese di Torino

il testo che segue è tratto dal sito: www.vatican.va

Torino
Corso Vittorio Emanuele II
Lunedì, 22 giugno 2015




Cari fratelli e sorelle,
con grande gioia mi trovo oggi tra voi. Vi saluto tutti con le parole dell’apostolo Paolo: «A voi, che siete di Dio Padre e del Signore Gesù Cristo, noi auguriamo grazia e pace» (1 Ts 1,1 - Traduzione interconfessionale in lingua corrente). Saluto in particolare il Moderatore della Tavola Valdese, Reverendo Pastore Eugenio Bernardini, e il Pastore di questa comunità di Torino, Reverendo Paolo Ribet, ai quali va il mio sentito ringraziamento per l’invito che così gentilmente mi hanno fatto. La cordiale accoglienza che oggi mi riservate mi fa pensare agli incontri con gli amici della Chiesa Evangelica Valdese del Rio della Plata, di cui ho potuto apprezzare la spiritualità e la fede, e imparare tante cose buone.

Uno dei principali frutti che il movimento ecumenico ha già permesso di raccogliere in questi anni è la riscoperta della fraternità che unisce tutti coloro che credono in Gesù Cristo e sono stati battezzati nel suo nome. Questo legame non è basato su criteri semplicemente umani, ma sulla radicale condivisione dell’esperienza fondante della vita cristiana: l’incontro con l’amore di Dio che si rivela a noi in Gesù Cristo e l’azione trasformante dello Spirito Santo che ci assiste nel cammino della vita. La riscoperta di tale fraternità ci consente di cogliere il profondo legame che già ci unisce, malgrado le nostre differenze. Si tratta di una comunione ancora in cammino - e l’unità si fa in cammino - una comunione che, con la preghiera, con la continua conversione personale e comunitaria e con l’aiuto dei teologi, noi speriamo, fiduciosi nell’azione dello Spirito Santo, possa diventare piena e visibile comunione nella verità e nella carità.

L’unità che è frutto dello Spirito Santo non significa uniformità. I fratelli infatti sono accomunati da una stessa origine ma non sono identici tra di loro. Ciò è ben chiaro nel Nuovo Testamento, dove, pur essendo chiamati fratelli tutti coloro che condividevano la stessa fede in Gesù Cristo, si intuisce che non tutte le comunità cristiane, di cui essi erano parte, avevano lo stesso stile, né un’identica organizzazione interna. Addirittura, all’interno della stessa piccola comunità si potevano scorgere diversi carismi (cfr 1 Cor 12-14) e perfino nell’annuncio del Vangelo vi erano diversità e talora contrasti (cfr At 15,36-40). Purtroppo, è successo e continua ad accadere che i fratelli non accettino la loro diversità e finiscano per farsi la guerra l’uno contro l’altro. Riflettendo sulla storia delle nostre relazioni, non possiamo che rattristarci di fronte alle contese e alle violenze commesse in nome della propria fede, e chiedo al Signore che ci dia la grazia di riconoscerci tutti peccatori e di saperci perdonare gli uni gli altri. È per iniziativa di Dio, il quale non si rassegna mai di fronte al peccato dell’uomo, che si aprono nuove strade per vivere la nostra fraternità, e a questo non possiamo sottrarci. Da parte della Chiesa Cattolica vi chiedo perdono. Vi chiedo perdono per gli atteggiamenti e i comportamenti non cristiani, persino non umani che, nella storia, abbiamo avuto contro di voi. In nome del Signore Gesù Cristo, perdonateci!

Perciò siamo profondamente grati al Signore nel constatare che le relazioni tra cattolici e valdesi oggi sono sempre più fondate sul mutuo rispetto e sulla carità fraterna. Non sono poche le occasioni che hanno contribuito a rendere più saldi tali rapporti. Penso, solo per citare alcuni esempi – anche il reverendo Bernardini lo ha fatto – alla collaborazione per la pubblicazione in italiano di una traduzione interconfessionale della Bibbia, alle intese pastorali per la celebrazione del matrimonio e, più recentemente, alla redazione di un appello congiunto contro la violenza alle donne. Tra i molti contatti cordiali in diversi contesti locali, dove si condividono la preghiera e lo studio delle Scritture, vorrei ricordare lo scambio ecumenico di doni compiuto, in occasione della Pasqua, a Pinerolo, dalla Chiesa valdese di Pinerolo e dalla Diocesi. La Chiesa valdese ha offerto ai cattolici il vino per la celebrazione della Veglia di Pasqua e la Diocesi cattolica ha offerto ai fratelli valdesi il pane per la Santa Cena della Domenica di Pasqua. Si tratta di un gesto fra le due Chiese che va ben oltre la semplice cortesia e che fa pregustare, per certi versi – pregustare, per certi versi - quell’unità della mensa eucaristica alla quale aneliamo.

Incoraggiati da questi passi, siamo chiamati a continuare a camminare insieme. Un ambito nel quale si aprono ampie possibilità di collaborazione tra valdesi e cattolici è quello dell’evangelizzazione. Consapevoli che il Signore ci ha preceduti e sempre ci precede nell’amore (cfr 1 Gv 4,10), andiamo insieme incontro agli uomini e alle donne di oggi, che a volte sembrano così distratti e indifferenti, per trasmettere loro il cuore del Vangelo ossia «la bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 36). Un altro ambito in cui possiamo lavorare sempre di più uniti è quello del servizio all’umanità che soffre, ai poveri, agli ammalati, ai migranti. Grazie per quello che Lei ha detto sui migranti. Dall’opera liberatrice della grazia in ciascuno di noi deriva l’esigenza di testimoniare il volto misericordioso di Dio che si prende cura di tutti e, in particolare, di chi si trova nel bisogno. La scelta dei poveri, degli ultimi, di coloro che la società esclude, ci avvicina al cuore stesso di Dio, che si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà (cfr 2 Cor 8,9), e, di conseguenza, ci avvicina di più gli uni agli altri. Le differenze su importanti questioni antropologiche ed etiche, che continuano ad esistere tra cattolici e valdesi, non ci impediscano di trovare forme di collaborazione in questi ed altri campi. Se camminiamo insieme, il Signore ci aiuta a vivere quella comunione che precede ogni contrasto.

Cari fratelli e sorelle, vi ringrazio nuovamente per questo incontro, che vorrei ci confermasse in un nuovo modo di essere gli uni con gli altri: guardando prima di tutto la grandezza della nostra fede comune e della nostra vita in Cristo e nello Spirito Santo, e, soltanto dopo, le divergenze che ancora sussistono. Vi assicuro del mio ricordo nella preghiera e vi chiedo per favore di pregare per me: ne ho bisogno. Il Signore conceda a tutti noi la sua misericordia e la sua pace.



© Copyright - Libreria Editrice Vaticana
tratto da: www.vatican.va

Discorso del moderatore della Tavola Valdese pastore Eugenio Bernardini a papa Francesco I


Visita di papa Francesco alla Chiesa valdese (Unione delle chiese metodiste e valdesi) Torino, 
Tempio di corso Vittorio Emanuele II 23 
22 giugno 2015

DISCORSO A PAPA FRANCESCO 
DEL PASTORE EUGENIO BERNARDINI, MODERATORE DELLA TAVOLA VALDESE


Caro papa Francesco, caro fratello in Cristo,
mi permetta di accoglierLa in questo Tempio rivolgendomi a Lei con questa espressione dei primi credenti che seguirono Gesù diventando i suoi discepoli e i suoi apostoli. Rivolgendoci a Lei come il fratello in Cristo Francesco, noi riconosciamo la nostra comune condizione di figli di quel Dio che è “al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti” (Efesini 4,6).
I valdesi del ramo italiano, da me rappresentati, e i metodisti – qui rappresentati dalla presidente Alessandra Trotta – e i rappresentanti delle chiese evangeliche sorelle luterane, battiste, avventiste, salutiste, La accolgono con gioia, avendo apprezzato molti discorsi e molti gesti che Lei ha compiuto sin dall’inizio del suo ministero.
Come Moderatore della Tavola valdese, voglio ringraziarLa in particolare per le parole di fraternità che Lei ha ripetutamente espresso nei confronti della nostra Chiesa.
***
Entrando in questo tempio, Lei ha varcato una soglia storica, quella di un muro alzatosi oltre otto secoli fa quando il movimento valdese fu accusato di eresia e scomunicato dalla Chiesa romana.
Qual era il peccato dei valdesi? Quello di essere un movimento di evangelizzazione popolare svolto da laici, mediante una predicazione itinerante tratta dalla Bibbia, letta e spiegata nella lingua del popolo.
Da oltre otto secoli, attraverso una storia a lungo segnata da varie forme di persecuzione e quindi scritta anche col sangue di molti martiri, non abbiamo voluto essere altro che una comunità di fede cristiana al servizio della parola di Dio e della libertà del suo annuncio.
Oggi, come nel Medioevo e nei secoli successivi, il nostro programma è: libere praedicare, «predicare nella libertà» l’Evangelo di Cristo. E’ questa l’unica ragion d’essere della Chiesa Valdese.
Questa libera predicazione dell’evangelo di Cristo avviene oggi in un’Italia largamente secolarizzata, ma almeno avviene in un contesto sempre più ecumenico
1grazie all’impegno e all’apertura spirituale di evangelici e cattolici, come questa Sua visita dimostra in modo eloquente.
A questo proposito, abbiamo letto nella Sua «Esortazione apostolica» Evangelii gaudium due affermazioni sul modo di intendere e vivere l’ecumenismo che siamo lieti di poter condividere.
La prima riguarda la visione dell’unità cristiana come «diversità riconciliata» che Lei propone (n. 230), e che è la stessa che l’ottava Assemblea mondiale della Federazione Luterana riunita a Curitiba (Brasile) proponeva nel 1990.
Crediamo anche noi che l’unità cristiana possa e debba essere concepita proprio così: come «diversità riconciliata», in cui occorre sottolineare sia la parola «diversità», sia l’esigenza che sia «riconciliata».
La seconda affermazione riguarda i rapporti tra le diverse chiese cristiane. Lei scrive: «Sono tante e tanto preziose le cose che ci uniscono! E se realmente crediamo nella libera e generosa azione dello Spirito, quante cose possiamo imparare gli uni dagli altri! Non si tratta solamente di ricevere informazioni sugli altri per conoscerli meglio, ma di raccogliere quello che lo Spirito ha seminato in loro come un dono anche per noi» (n. 246).
È molto bello questo pensiero di cercare nelle chiese diverse dalla nostra non i difetti e le mancanze – che indubbiamente ci sono – ma ciò che lo Spirito Santo vi ha seminato «come un dono anche per noi».
Proprio questo è l’ecumenismo: la fine dell’autosufficienza delle chiese; ogni chiesa ha bisogno delle altre per realizzare la propria vocazione. Non possiamo essere cristiani da soli.
Ma proprio perché è così, riteniamo che i rapporti tra la Chiesa Valdese (Unione delle chiese metodiste e valdesi) e la Chiesa cattolica romana, che già hanno prodotto buoni frutti in diversi ambiti – ricordo solo la traduzione interconfessionale della Bibbia in lingua corrente (TILC), la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, la collaborazione a livello di facoltà teologiche, il testo comune tra CEI e valdesi e metodisti sui matrimoni interconfessionali, la collaborazione alla stesura della Carta Ecumenica, fino al documento comune cattolici-evangelici-ortodossi per contrastare la violenza contro le donne che abbiamo sottoscritto insieme il 9 marzo scorso – ecco, questi buoni frutti possano essere ulteriormente migliorati e incrementati, nei modi che potremo cercare e stabilire insieme.
Dovremo affrontare, però, anche questioni teologiche tuttora aperte.
E poiché ci è data oggi questa bella occasione di incontro e di dialogo, vorrei proporne almeno due che ci stanno particolarmente a cuore.
La prima è questa: il concilio Vaticano II ha parlato delle chiese evangeliche come di «comunità ecclesiali». A essere sinceri, non abbiamo mai capito bene che cosa significhi questa espressione: una chiesa a metà? Una chiesa non chiesa? Conosciamo le ragioni che hanno spinto il Concilio a adottare quell’espressione, ma riteniamo che essa possa e debba essere superata. Sarebbe bello se questo accadesse nel 2017 (o anche prima!), quando ricorderemo i 500 anni della Riforma protestante. È nostra umile ma profonda convinzione che siamo chiesa: certo peccatrice, semper reformanda, pellegrina che, come l’apostolo Paolo, non ha ancora raggiunto la mèta (Filippesi 3,14), ma chiesa, chiesa di Gesù Cristo, da Lui convocata, giudicata e salvata, che vive della sua grazia e per la sua gloria.

La seconda questione, che sappiamo quanto sia delicata, è quella dell’ospitalità eucaristica. Tra le cose che abbiamo in comune ci sono il pane e il vino della Cena e le parole che Gesù ha pronunciato in quella occasione. Le interpretazioni di quelle parole sono diverse tra le chiese e all’interno di ciascuna di esse.
Ma ciò che unisce i cristiani raccolti intorno alla mensa di Gesù sono il pane e il vino che Egli ci offre e le Sue parole, non le nostre interpretazioni che non fanno parte dell’Evangelo.
Sarebbe bello se anche in vista del 2017 le nostre chiese affrontassero insieme questo tema.
***
In questa giornata, però, non possiamo dimenticare le sofferenze del mondo e le sfide che il mondo pone alle nostre chiese.
Anche su questo piano abbiamo in atto importanti collaborazioni che possono crescere ulteriormente.
Per esempio nel campo della libertà di religione e di coscienza.
Proprio per la nostra storia di minoranza “eretica” prima, “tollerata” poi, “ammessa” successivamente e finalmente “riconosciuta”, noi avvertiamo una forte responsabilità nei confronti di chi ancora oggi – in varie aree del mondo ma anche in Europa e in Italia – è discriminato o perseguitato a causa della sua fede, sia egli cristiano o di altre fedi – per noi non fa differenza – perché, affermando il valore della libertà della coscienza, riteniamo che chiunque debba essere libero e libera di credere secondo la sua ispirazione, così come debba essere libero e libera di non credere o di credere in forme non convenzionali.
Un altro campo sul quale i cristiani e le cristiane dovrebbero impegnarsi con più forza e unità è quello del dialogo interreligioso.
Oggi il mondo è attraversato da guerre che spesso si combattono “nel nome di Dio”. Questa pretesa blasfema di una religione ridotta a ideologia di violenza e di vendetta scuote la nostra coscienza e ci impone di perseguire con determinazione – come Lei tante volte ha fatto – un’altra strada: quella del dialogo tra uomini e donne che, confessando l’unico Dio, non possono condividere parole e gesti di offesa, oltraggio e violenza nei confronti di altri credenti e di altri essere umani, e che invece insieme riescono a tracciare e percorrere strade diverse, strade di pace.
Per noi cristiani – cattolici, protestanti, ortodossi – il richiamo a essere “operatori e operatrici di pace” non è un ornamento retorico della nostra fede ma il cuore della legge dell’amore e della riconciliazione voluta da Gesù Cristo.
E parlando di amore e riconciliazione, caro fratello in Cristo Francesco, sento di dover cogliere questa occasione per richiamare l’urgenza di proseguire e intensificare la testimonianza – talora comune ed ecumenicamente ispirata – a favore dei profughi che bussano alla nostra porta. 
La “fortezza Europa” li respinge rigettandoli nell’abisso di sofferenze, persecuzioni e dolore da cui fuggono; ma la legge che il Signore afferma ci impone di accogliere lo straniero, l’orfano e la vedova; e l’Evangelo che noi predichiamo dalle nostre chiese e dai nostri pulpiti ci invita ad aprire la porta della nostra casa, a dare da mangiare a chi ha fame e da bere a chi ha sete perché solo accogliendo chi soffre si può accogliere Cristo.
L’ecumenismo cresce anche nel servizio (diakonìa) e in una predicazione comune che scuota i cuori e le coscienze di chi pensa di risolvere il dramma sociale e umanitario che investe grandi regioni del mondo alzando altri muri, bombardando dei barconi o pattugliando il mediterraneo con mezzi militari.
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E termino.
Chiudendo quest’anno la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, nella basilica di San Paolo fuori le mura a Roma, Lei ha affermato: “L’unità dei cristiani non sarà il frutto di raffinate discussioni teoriche nelle quali ciascuno tenterà di convincere l’altro della fondatezza delle proprie opinioni. Verrà il Figlio dell'Uomo e ci troverà ancora nelle discussioni. Dobbiamo riconoscere che per giungere alla profondità del mistero di Dio abbiamo bisogno gli uni degli altri, di incontrarci e di confrontarci sotto la guida dello Spirito Santo, che armonizza le diversità e supera i conflitti”.
Condividiamo queste sue parole. Secoli di confronto e dibattito non hanno appianato, purtroppo, divergenze teologiche che in larga misura hanno resistito nel tempo. Eppure oggi siamo qui a riconoscerci come figli del Padre, fratelli in Cristo, gli uni e gli altri animati dalla forza dello Spirito santo.
Di fronte a noi c’è un mondo inquieto, sofferente, carico di tensioni; un mondo sovraccarico di parole mute, sterili, vane.
In questo mondo, noi cristiani siamo chiamati a dire la Parola della verità e della vita, una parola che non ritorna invano ma che cambia i cuori e le menti.
Annunciare questa Parola è la nostra fatica e la nostra gioia di sorelle e fratelli in Cristo.
Ed è il nostro vero mandato ecumenico, caro fratello Francesco: quello che ci chiama all’unità anche e soprattutto nell’annuncio della Parola “perché il mondo creda” (Giovanni 17,21).
Caro papa Francesco, grazie per essere tra noi e con noi. Dio illumini e benedica il Suo servizio.

Torino, 22 giugno 2015


tratto da:  www.riforma.it